Onorevoli Colleghi! - La presentazione di questa proposta di legge risponde all'esigenza di dare finalmente attuazione ai princìpi costituzionali in materia di diritto all'istruzione e all'educazione. La regolamentazione della scuola non statale, a partire dal riconoscimento del ruolo di servizio pubblico che essa svolge quando non ha fini di lucro, rappresenta per il legislatore un dovere e una assoluta necessità, non soltanto per superare la situazione discriminatoria di fatto oggi esistente nel nostro Paese, ma anche per colmare il divario rispetto all'Europa, nonché per migliorare la qualità, l'efficienza, la produttività del sistema formativo attraverso la realizzazione di un sistema scolastico integrato.
      Gli obiettivi essenziali che si vogliono perseguire sono di tre ordini.
      Il primo, di carattere costituzionale, attiene al diritto primario della famiglia nella scelta degli indirizzi educativi, alla uguaglianza di trattamento scolastico e di prestazione per quegli alunni che intendono esercitare il diritto allo studio presso istituzioni scolastiche non statali.
      Il secondo è quello di introdurre nel nostro ordinamento un sistema integrato di servizio scolastico, impostato sulla parità tra le scuole istituite e gestite dallo Stato e le scuole istituite e gestite da altri soggetti che si assumono gli oneri organizzativi per svolgere tale servizio.
      Il terzo è quello di conferire ulteriore dignità alla funzione docente, sottolineandone la qualità di servizio pubblico, sia che si eserciti nelle scuole statali, sia che - a parità di titoli conseguiti - si eserciti nelle scuole paritarie.

 

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      Tutto ciò comporta evidentemente una revisione complessiva del nostro sistema scolastico.

Diritti costituzionali in materia di educazione.

      La Costituzione italiana, all'articolo 33, nel dettare le norme sull'organizzazione del sistema scolastico, ha riconosciuto a soggetti diversi dallo Stato il diritto di istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato.
      Fino ad oggi, però, non si è data piena attuazione al dettato costituzionale, poiché, per coloro che hanno preferito si attuasse l'organizzazione monopolistica del sistema scolastico statale, l'espressione «senza oneri per lo Stato» ha costituito l'alibi per evitare la diffusione di scuole e istituzioni scolastiche non statali.
      Tale espressione del terzo comma dell'articolo 33 non può essere interpretata senza tener conto dello spirito della Carta costituzionale e, in particolare, di quanto sancito da altri articoli, quali l'articolo 3 («È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana»), l'articolo 30 («È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli»), l'articolo 31 («La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi»), l'articolo 33 («L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento»), l'articolo 34 («L'istruzione inferiore impartita per almeno otto anni è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi») e, infine, l'articolo 38 («Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale»).
      In particolare, poi, il citato terzo comma dell'articolo 33 della Costituzione non può essere considerato isolatamente rispetto al quarto comma dello stesso articolo, ove viene sancito che «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità [quindi, non tutte le scuole private], deve assicurare ad esse piena libertà ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali».
      Proprio a seguito di tale correlazione sorge immediatamente evidente la distinzione tra scuole private, stricto sensu, e scuole che chiedono la parità.
      Per le scuole private si tratta di avviare un'impresa commerciale per la quale non viene previsto né richiesto alcun esborso di denaro pubblico, considerato lo scopo di lucro privato e, quindi, in questo caso si giustifica pienamente che l'istituzione di scuole e istituti di educazione debba realizzarsi «senza oneri per lo Stato».
      Per le scuole che chiedono la parità, invece, si tratta di istituzioni volte al fine pubblico di realizzare il diritto di libertà dei cittadini; in questo caso, l'intervento dello Stato, ai sensi del secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, diventa non soltanto legittimo, ma doveroso.
      Con questa proposta di legge, infatti, non si vuole privilegiare la scuola non statale, facendo carico allo Stato di oneri che costituzionalmente non gli competono, ma solamente rendere possibile la rimozione di quegli «ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
      La proposta di legge, pertanto, s'inquadra nella concezione dello Stato quale suprema sintesi della volontà e delle esigenze della Nazione; è rivolta a garantire alle famiglie e ai genitori la libertà di educazione e ad evitare che la scuola non statale si trasformi gradualmente in un'area privilegiata riservata ai figli delle famiglie abbienti.
      La mancata attuazione del principio della libertà all'educazione con il riconoscimento della parità alle scuole e istituti di educazione non statali che si protrae da oltre cinquant'anni opererebbe una vera e propria discriminazione non tanto per le

 

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istituzioni scolastiche non statali, quanto per i milioni di alunni che le frequentano, i quali sarebbero considerati, rispetto ai loro coetanei che frequentano le scuole statali, dei veri e propri cittadini «diversi», (quasi) di «serie B».

Il sistema educativo nell'Unione europea.

      Mentre dal 1947 ad oggi ogni tentativo di raggiungere la parità scolastica nel nostro Paese è rimasto sulla carta, tutta la legislazione internazionale, al contrario, si è mossa con passi da gigante e tutti gli Stati dell'Europa libera hanno adottato provvedimenti per porre una volta per sempre sullo stesso piano le scuole dello Stato e quelle istituite ad opera della società civile e dei privati.
      Basterà ricordare, per quanto riguarda il diritto internazionale, peraltro liberamente accettato e ratificato con leggi nazionali dal nostro Stato, solamente la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'ONU, sottoscritta dall'Italia il 15 dicembre 1952 («i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere d'istruzione da impartire ai loro figli»); la Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 20 novembre 1959 (la responsabilità educativa «incombe in primo luogo sui propri genitori»); la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ed il suo Protocollo addizionale del 20 marzo 1952, ratificato dall'Italia il 13 dicembre 1957 («lo Stato, nell'esercizio delle funzioni che assumerà nella competenza dell'insegnamento e dell'educazione, rispetterà il diritto dei genitori d'assicurare quella educazione e quell'insegnamento conformi ai propri convincimenti religiosi e filosofici»); il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966; la Convenzione internazionale contro la discriminazione nel settore dell'istruzione del 1960; la sentenza del 7 dicembre 1976, Serie A, an. 23, della Corte europea dei diritti dell'uomo; e, soprattutto la «risoluzione Luster», approvata dal Parlamento europeo il 14 marzo 1984, con la quale non solo si riconferma che il diritto alla libertà d'insegnamento implica l'obbligo, da parte degli Stati membri, di rendere possibile l'esercizio pratico di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti ed all'adempimento dei loro obblighi, con le stesse condizioni di quelle di cui beneficiano le scuole pubbliche corrispondenti, senza discriminazioni nei riguardi dei gestori, dei genitori, degli alunni e del personale (numero 9), ma si indicano anche le misure di attuazione (numero 3) e gli eventuali strumenti giurisdizionali da attivare in caso di violazioni: «la Commissione della Comunità europea, in caso di fondato sospetto di violazione del diritto alla libertà d'insegnamento e di istruzione, avvia le procedure applicabili nei casi di violazione dei diritti fondamentali e dei princìpi generali della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, riconosciuti dalla Comunità».
      E che la «risoluzione Luster» sia stata approvata in special modo per Stati come l'Italia lo dimostra il fatto che tutti gli altri membri dell'Unione europea hanno già da diverso tempo regolamentato la materia, garantendo ampi spazi di libertà «effettiva» a tutti gli enti ed i soggetti che concorrono, insieme alla scuola dello Stato, all'educazione nazionale.
      «Non c'è nessun Paese dell'occidente europeo - scriveva il compianto professor Salvatore Valitutti, ex Ministro della pubblica istruzione - in cui la libertà della scuola non si attui coerentemente come libertà di insegnamento in ogni scuola e come libertà della scuola non statale nell'unità del sistema scolastico comprendente in sé sia la scuola statale o pubblica, sia la scuola non statale. Questa libertà è un connotato della stessa organizzazione dello Stato in tutti i Paesi dell'occidente [...]. La tutela della scuola non statale, quale espressione e condizione necessaria alla libertà della scuola in generale, nei principali Paesi dell'Unione europea è estesa fino al punto di ammetterla a certe condizioni a godere in varia misura di certi tipi di sovvenzionamento statale o

 

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pubblico per i servizi che rende all'educazione ed alla cultura».
      Possiamo, quindi, constatare che:

          a) nel Regno Unito esistono tre tipi di scuole: quelle istituite dalle autorità scolastiche locali, quelle fondate da privati, che in varia misura sono sostenute dall'autorità locale, e le independent schools, che non ricevono alcun contributo. In pratica, in questo Paese, non esiste una scuola dello Stato vera e propria, essendo nata prima quella privata e poi, nel 1870, quella pubblica, cioè completamente gratuita e fondata da comitati locali elettivi: è la cosiddetta «scuola di contea»;

          b) in Francia, dove la scuola non statale copre circa il 18 per cento di tutta la popolazione scolastica, dopo quasi un secolo di guerre scolaire, le leggi Debré del 31 gennaio 1959 e del 1 giugno 1971 e la legge Guermeur del 25 novembre 1977, hanno creato un sistema misto che prevede quattro categorie di scuole: quelle integrate, in pratica statalizzate; quelle che godono di libertà assoluta e non ricevono alcun sussidio; quelle a contratto semplice, nelle quali gli insegnanti fruiscono del cosiddetto «gradimento» dello Stato, per cui da esso ricevono la retribuzione ed a suo carico sono gli oneri sociali; quelle, infine, «associate» che usufruiscono di finanziamenti per il loro funzionamento;

          c) in Belgio, la scuola non statale rappresenta ben il 60 per cento circa dell'intero sistema educativo e fin dal 1959 riceve dallo Stato i fondi necessari per le rette, per il personale, per la gestione e per la costruzione degli stessi edifici scolastici. Quindi, lo Stato sopporta sia le spese di gestione sia quella di investimento. Le famiglie, perciò, hanno la più ampia libertà di scelta, dal momento che i finanziamenti vengono assicurati a tutte le scuole ritenute valide, anche a quelle private stricto sensu;

          d) in Germania, così come nel Regno Unito, la maggior parte delle scuole fanno capo alle amministrazioni dei singoli Länder, che assicurano nell'ambito della scuola pubblica che il diritto naturale dei genitori all'educazione dei figli, sancito dalla Costituzione del 1949 e ripreso dalle legislazioni dei Länder, possa essere concretamente ed agevolmente esercitato scegliendo, ad esempio, scuole di confessioni religiose conformi ai rispettivi convincimenti. Le rimanenti scuole private usufruiscono di contributi statali, anche se parziali, per la manutenzione degli immobili, per il pagamento del personale (all'85 per cento) e per le pensioni (al 90 per cento);

          e) in Olanda, dove la scuola statale assicura il servizio solo al 30 per cento degli studenti, frequentando tutti gli altri le scuole non statali, lo Stato stanzia le stesse provvidenze per i due tipi di scuola. Sono stati adottati così princìpi di completa uguaglianza, ritenendosi che tutte le scuole svolgano un servizio sociale, purché naturalmente non abbiano scopo di lucro;

          f) in Spagna, la scuola non statale raccoglie il 38 per cento circa dell'intera popolazione studentesca ed è costituita per la maggior parte da scuole cattoliche. Lo Stato, pur esercitando una certa vigilanza ed avendo inserito propri rappresentanti nei consigli di amministrazione delle singole scuole, assicura finanziamenti pubblici di una certa consistenza.
      L'elenco potrebbe continuare con l'Irlanda, la Svezia e la Danimarca, Paesi nei quali non vige alcuna penalizzazione per le scuole private che, viceversa, sono messe sullo stesso piano di quelle statali.
      Oggi, perciò, nel settore della scuola non statale siamo rimasti il fanalino di coda di tutta l'Europa dal momento che, in Italia, solamente il 7 per cento dell'intera popolazione scolastica frequenta questo tipo di scuola, se si escludono le scuole dell'infanzia.

Un sistema integrato di servizio scolastico.

      Le esperienze culturali e i modelli organizzativi già positivamente sperimentati nel resto dell'Europa occidentale portano alle seguenti conclusioni: ovunque è stata superata la concezione del monopolio statale

 

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della scuola; i vari provvedimenti in materia hanno valorizzato le risorse spontanee delle formazioni sociali e del libero associazionismo; si è cercato di creare strutture agili e decentrate, nonché di garantire strumenti idonei ad una maggiore partecipazione dei genitori al processo formativo. L'Italia non può discostarsi da questi indirizzi nel processo della revisione dell'organizzazione del proprio ordinamento scolastico. Quello che si propone, infatti, con questa proposta di legge, sul piano organizzativo, è il concetto di servizio scolastico integrato, imperniato sul comune carattere pubblico di tutte le scuole che assicurano un servizio alla comunità e consistente nell'offerta dell'istruzione secondo un progetto educativo qualificato e un rigoroso riconoscimento del pluralismo culturale e della libertà d'insegnamento individuale.
      La proposta di legge, pur lasciando inalterato il diritto di istituire scuole private (come prima definite a scopo di lucro), individua una serie precisa di prescrizioni per le scuole che, chiedendo la parità ed il riconoscimento dei titoli, aspirano al riconoscimento della libertà e all'inserimento nel sistema integrato di servizio scolastico, al quale possono rivolgersi i cittadini e le loro famiglie nell'esercizio pieno del loro diritto di libertà di educazione.
      Alle scuole che chiedono la parità, dunque, questa proposta di legge, nel garantire il pieno rispetto dell'identità culturale, prescrive di adeguarsi alle norme generali sull'istruzione di competenza statale relativamente ai programmi, al calendario scolastico complessivo, ai titoli di studio professionali dei docenti, alle norme igienico-architettoniche e di sicurezza dei locali scolastici.
      Così sarà possibile tutelare l'identità culturale di una scuola paritaria che nasce, infatti, senza scopo di lucro, ma con il fine di fornire un servizio scolastico pubblico culturalmente qualificato.
      Il sistema scolastico integrato, quindi, si caratterizza per il comune carattere pubblico della funzione educativa tra scuole istituite dallo Stato e scuole paritarie. L'intervento dello Stato, per rendere effettivo il diritto allo studio ed il diritto alla libertà di scelte educative, si potrà concretizzare attraverso la retribuzione del personale docente e non docente.
      Si sarebbero potute prevedere anche altre forme di intervento dello Stato, quali il cosiddetto «buono scuola» o gli sgravi fiscali, o ancora il sistema delle convenzioni o il finanziamento diretto alle scuole, ma tali ipotesi non hanno trovato adeguata rispondenza con l'esigenza dell'affermazione del diritto di scelta all'istruzione delle famiglie.
      Il «buono scuola», cioè un bonus virtuale che consenta al cittadino di esercitare il suo diritto a conseguire l'istruzione inferiore gratuitamente in qualsiasi struttura scolastica, statale o non statale, presuppone un intervento legislativo specifico all'interno del quale venga prevista una complessa riforma del sistema scolastico. L'occasione potrebbe essere fornita dalla piena attuazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, con la conseguente piena realizzazione della parità delle istituzioni scolastico-educative non statali. In tal caso, ciascun cittadino verrebbe messo in grado di scegliere in quale istituzione poter esercitare il proprio bonus all'istruzione.
      La detraibilità delle spese sostenute per l'istruzione dal reddito delle persone fisiche trova già una sua previsione legislativa nell'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, laddove indica gli oneri sostenuti dal contribuente per «le spese per frequenza di corsi di istruzione secondaria ed universitaria» tra quelli detraibili seppure «in misura non superiore a quella stabilita per le tasse e i contributi degli istituti statali».
      Tale ipotesi, tuttavia, come sopra accennato, non risulta percorribile, se si presuppone che, per poter detrarre dal reddito delle persone fisiche le spese per l'istruzione, queste devono essere affrontate in via preventiva, e non tutti i cittadini possono permettersi di sostenere queste spese per poi detrarle dalla dichiarazione
 

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dei redditi. Si sarebbe, quindi, posto un limite iniziale all'esercizio del diritto di libertà all'istruzione, poiché tale libertà sarebbe circoscritta dall'impossibilità di sostenere la spesa di iscrizione e di frequenza a scuola non statale.
      Il finanziamento diretto alle scuole in ragione del numero degli alunni e di rigorosi parametri prestabiliti non sembra altresì rispondere alle esigenze fin qui prospettate, e cioè che l'intervento dello Stato avvenga per la piena attuazione dell'esercizio del diritto di libertà all'istruzione, che è esclusivo patrimonio del cittadino. Tale intervento, quindi, deve essere rivolto necessariamente alle strutture educative per l'esercizio del diritto e non al titolare dell'istituzione educativa non statale.
      Il problema del finanziamento, pertanto, potrà essere superato attraverso una scelta tecnico-giuridica.
      La soluzione proposta, infatti, affronta il problema del finanziamento dal punto di vista delle strutture educative piuttosto che da quello dell'erogazione di provvidenze dirette ai titolari delle istituzioni scolastiche ed educative o ai titolari del diritto all'educazione. Sarà necessario concentrare l'intervento dello Stato nell'ambito dell'organizzazione del servizio scolastico e fare perno su due componenti qualificanti: la posizione giuridica di scuola paritaria, che entra a far parte del sistema scolastico integrato, e la funzione docente.
      Il riconoscimento del carattere pubblico per queste due componenti legittima l'intervento dello Stato, che assicura parità di condizioni, anche economiche, ai cittadini e alle famiglie ai fini dell'accesso alle istituzioni scolastiche ed educative.

Conclusioni.

      In definitiva, pertanto, la presente proposta di legge vuole colmare un vuoto legislativo creatosi al momento dell'entrata in vigore della Costituzione e perdurante tutt'oggi con riferimento al riconoscimento della libertà all'educazione e ai rapporti tra l'amministrazione dello Stato e le scuole non statali.
      L'ordinamento scolastico statale di ogni ordine e grado non deve «temere» la concorrenza delle istituzioni scolastiche non statali; anzi, esso ritroverà efficienza, funzionalità, prestigio e nuovi contenuti culturali, derivanti proprio da una feconda e sana competizione. Benedetto Croce, nella relazione introduttiva alla riforma degli esami di Stato, scriveva appunto: «Lo Stato non può temere la concorrenza di nessuna delle forze vive ed operose di educazione e di cultura della coscienza nazionale, della quale rappresenta la sintesi più alta. Esso deve lasciare perciò che queste forze si manifestino e si sviluppino liberamente secondo le loro naturali tendenze nel momento della preparazione e dell'opera».

 

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